Il neuromarketing alleato del design

L'estetica che piace al cervello...

È con il nostro sguardo che, in prima battuta, facciamo esperienza del mondo che ci circonda ricercando, estrapolando e immagazzinando una miriade di informazioni.

Non è un caso che sia proprio la vista il senso generalmente più stimolato dalla comunicazione poiché, per coinvolgere, non necessita di alcun contatto fisico e può destare interesse anche a distanza.

Non tutto ciò che rientra nel nostro campo visivo è però in grado di catturare in modo profondo l’attenzione. Soltanto una minima parte delle informazioni in cui ci imbattiamo riesce infatti a essere incamerata dal nostro cervello razionale, perché gli stimoli, anche quelli visivi, sono solitamente processati in modo non conscio.

Come spiegano le neuroscienze, prima che a livello razionale, “esperiamo e reagiamo a qualsiasi stimolo sensoriale con la parte più antica, istintiva, emozionale del nostro cervello, al di sotto quindi della nostra consapevolezza”.

Questo implica la necessità di tenere a mente, soprattutto per chi si occupa di design e comunicazione, che il primo giudizio che le persone formulano in merito all’aspetto grafico e visivo di prodotti,  loghi o messaggi di comunicazione è tutt’altro che razionale, nonché spesso divergente da quanto le persone dichiarano consapevolmente. Un assunto  che dovrebbe essere alla base di qualsiasi approccio e strategia creativa.

Il neuromarketing si dedica alla ricerca e alla previsione, utilizzando tecniche di neuroscienza, del comportamento dei consumatori di fronte all’applicazione di diverse tecniche di marketing, come la pubblicità o le esperienze.

Gli strumenti utilizzati sono la neurometria e la biometria. Dall’utilizzo di questi siamo in grado di ottenere risultati concreti su questioni come il comportamento del cervello nella scelta di diversi prodotti, l’impatto e il tipo di reazioni che una pubblicità può generare, che tipo di elementi attirano l’attenzione dell’utente o quali lo fanno rimanere più attento per più tempo. Pertanto, è chiaro che da queste tecniche saremo in grado di avere una migliore comprensione di ciò che l’utente vuole, capirlo e, quindi, migliorare la sua esperienza.

 

Dall’analisi semantica del significato di ciascuna immagine alle associazioni implicite legate a un determinato colore, il neurodesign offre numerosi strumenti funzionali all’ideazione di creatività che lasciano il segno. Gli allestimenti in store, i materiali espositivi e i packaging dei prodotti, rivelandosi talvolta come primo contatto fisico tra il consumatore e una marca, hanno il difficile compito di catturarne l’attenzione in contesti in cui questa è, per la verità, sempre più scarsa e rarefatta.

Un esempio di neurodesign è il tracciamento oculare, che rivela la sequenza temporale e la durata della fissazione di un prodotto.

Il meccanismo che si attiva nel cervello quando dobbiamo prendere decisioni d’acquisto provoca un rapido confronto di due aree celebrali rispettivamente deputate a elaborare sensazioni positive o negative: il nucleus accumbens e l’insula. È quindi importante, quando si progettano strategie per la promozione di un prodotto, tenere conto che l’esperienza, le emozioni e le eventuali associazioni o i ricordi suscitati da un prodotto o brand determinano quale delle due aree sopracitate predominerà sull’altra, stimolando o meno una scelta d’acquisto.

 

I colori, le forme, i contrasti cromatici, giocano un ruolo cruciale nel modo in cui processiamo un determinato stimolo: il nostro sguardo è prima di tutto attratto dai colori, dalle forme e soltanto in seconda battuta da numeri e parole, che essendo concettuali attivano la parte razionale e più lenta del cervello, richiedendo maggiore sforzo per essere codificati e compresi.

 

In generale le persone formano opinioni non consce che poi si trasformano in giudizi su ambienti, prodotti o persone entro novanta secondi dalla prima interazione e questa valutazione, per percentuali che vanno dal 62 al 90% dei casi, è influenzata proprio dal colore, che può determinare fino all’85% la scelta di un prodotto piuttosto che un altro.

Ma cosa c'entra il neuromarketing col design e la grafica?

Non c’entra nulla. Ma, in realtà, ci offre un sacco di spunti interessanti con cui lavorare e da cui trarre linee guida per progettare in modo da suscitare emozioni nell’osservatore. Il design è infatti un buon design quando svolge un ruolo. Se quel ruolo è quello di suscitare un’emozione o trasmettere un messaggio, allora le informazioni provenienti dai test di neuromarketing diventano utilissime per progettare meglio.

 

Il brand di un’azienda che conosciamo è collegato all’insieme di esperienze e di emozioni che colleghiamo a quell’azienda. Se già la conosciamo, il bagaglio di conoscenze che abbiamo influenzerà le nostre scelte in modo quasi inconscio. Se invece non la conosciamo, ci faremo comunque influenzare dalle nostre esperienze in qualche modo collegabili. Ecco perché è fondamentale considerare il messaggio che si vuole trasmettere quando si progetta un logo ed ecco perché sono di straordinaria importanza la scelta di font o la scelta di un colore: ciascuno di questi elementi ha il potenziale di generare una particolare emozione e contribuirà ad influenzare la percezione del brand.

 

Lo stesso discorso può essere fatto nell’ambito della User Experience di un utente su un sito web e dell’esperienza che ha con un prodotto.

 

In un mondo sempre più competitivo e virtuale, e con un cliente più difficile da fidelizzare, è fondamentale dunque riuscire a capire e avvicinarsi ai nostri consumatori, e sapere cosa li motiva e cosa si aspettano da noi. Pertanto, investire nel neuromarketing non è una cattiva idea, in quanto ci permetterà di aumentare i profitti oggi e anche di proiettarsi nel futuro.

 

Diamo un’occhiata ad alcune aziende che praticano tattiche di neuromarketing per scopi versatili.

1. Coca Cola

Il marchio, la pubblicità e le campagne social: tutti hanno trigger nascosti per rendere la Coca-Cola memorabile per il suo pubblico di destinazione.

L’azienda conduce da anni studi versatili per improvvisare il proprio marchio. Ha cambiato ripetutamente la forma delle bottiglie per renderle più attraenti, introdotto vari prodotti per valutare i gusti delle persone e fatto molteplici A/B test di annunci per ottimizzare le sue copie di vendita.

La perenne sfida “Pepsi vs Coca-Cola” è un vero e proprio classico esempio della sua ricerca neuroscientifica.

2. Disney

Si dice che la Disney abbia ideato un laboratorio da qualche parte ad Austin appositamente per studiare cosa fa funzionare le persone. Che sia vero o meno, certo è che le sue storie spesso evocano emozioni positive, in particolare la felicità. La maggior parte dei suoi contenuti è ricca di elementi divertenti che finiscono sempre con un lieto fine. Disney attira le persone con film spensierati e cattura i loro cuori con musica vivace.

3. Victoria's Secret

Victoria’s Secret utilizza due tattiche di neuromarketing visibili per posizionarsi come un marchio esclusivo di lingerie femminile. Il primo è il colore rosa per associare il marchio a femminilità, romanticismo e giocosità. E la seconda è la parola “segreto”. Quest’ultimo invoca soprattutto curiosità e fascino, incitando le persone a scoprire di cosa si tratta.

La cosa divertente è che il nome di Victoria’s Secret è nato dalla frustrazione di un marito completamente irritato piuttosto che da ragioni scientifiche. Ma non diminuisce l’effetto persuasivo della parola di potere su di esso target di riferimento.

4. Starbucks

La catena globale del caffè è nota per aver utilizzato il marketing sensoriale per aumentare le proprie vendite. Starbucks mette in evidenza le caratteristiche del suo prodotto sia in negozio che nelle sue pubblicità digitali per invocare il senso olfattivo e incoraggiare le persone ad acquistarlo ripetutamente.

5. KFC

KFC utilizza molteplici trigger psicologici per stimolare sensi diversi. Usa alcune frasi come “leccarsi bene le dita” per incitare le papille gustative, sottolinea il colore rosso per ispirare l’azione e esegue jingle per attirare l’attenzione.

Ma la tattica di neuromarketing forse ancora più degna di nota è il suo ancoraggio di prezzo, un comportamento cognitivo in cui le persone prendono decisioni di acquisto utilizzando il prezzo originale come punto focale. Quindi, se l’articolo costa € 100 ma è stato barrato e rietichettato come € 99, il pubblico lo comprerebbe, supponendo che sia un buon affare anche se la differenza è minima.

6. Apple

Il sito Web di Apple ha tutti gli elementi di un layout ben ottimizzato. È minimalista, visivamente accattivante e soprattutto facile da capire. La densità dei contenuti nelle pagine dei prodotti è ben bilanciata e facile da usare. Il testo e le immagini sono posizionati strategicamente per guidare l’occhio dove Apple vuole che tu veda. L’azienda ha utilizzato brillantemente lo spazio bianco per offrire tutte le informazioni sul prodotto senza far apparire disordinato l’aspetto visivo.

7. Facebook

Anche Facebook è un classico caso di neuromarketing. Se esplori la piattaforma, troverai molti fattori scatenanti psicologici nelle sue funzionalità. Due degli esempi ideali sono le notifiche e i Mi piace. La campana delle notifiche in alto ti esorta a visitare nuovamente il sito, mentre i Mi piace generano una sensazione gratificante.

Il layout pulito della sequenza temporale di Facebook influisce anche sul tasso di coinvolgimento e, più in generale, l’intera piattaforma è progettata per innescare sottilmente risposte emotive.

 

In un mondo sempre più competitivo e virtuale, e con un cliente più difficile da fidelizzare, è fondamentale dunque riuscire a capire e avvicinarsi ai nostri consumatori, e sapere cosa li motiva e cosa si aspettano da noi. Pertanto, investire nel neuromarketing non è una cattiva idea, in quanto ci permetterà di aumentare i profitti oggi e anche di proiettarsi nel futuro.

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