
Non possiamo più girarci attorno: il nostro pianeta ha raggiunto un punto critico e con esso le sue risorse, che si esauriscono più velocemente di quanto possano essere rigenerate.
Non sarà sicuramente una novità leggere queste parole, sembra quasi non si parli d’altro, penserete voi!
Come qualsiasi grosso tema d’attualità – per quanto questo problema sia stato presentato già negli anni 60 – a furia di ripetersi, c’è il rischio che diventi un’abitudine e passi in secondo piano il suo carattere d’urgenza.
La WWF, per esempio, organizzazione internazionale non governativa che si batte per la protezione ambientale, lo scorso autunno, per contrastare questo rumore continuo, ha lanciato una campagna di comunicazione molto diversa da quelle precedenti.
Da sempre impegnato alla lotta contro l’inquinamento e lo sfruttamento del pianeta ha cambiato rotta adottando un approccio audace e provocatorio con il claim “Estinguerci lo stiamo facendo bene” e con l’hashtag #ilpandasiamonoi.
Queste parole provocatorie, in controtendenza rispetto alle sue storiche battaglie per la salvaguarda degli animali a rischio estinzione e del pianeta in generale, mira a catturare l’attenzione del pubblico sottolineando l’urgente necessità di affrontare la crisi climatica.
La differenza sta nel porre l’accento sugli interessati all’urgenza: per una volta non sono gli animali in pericolo, e nemmeno il pianeta – che resisterà alla grande come ha ben dimostrato durante le ere senza la nostra presenza – ma noi esseri umani, veri animali in pericolo d’estinzione.
La WWF sceglie di sensibilizzare il pubblico utilizzando la credibilità costruita negli anni e stravolgendo il suo tono di voce per mostrare l’importanza della campagna, enfatizzando l’importanza di un coinvolgimento autentico nella causa ambientale.
Infatti, se per alcuni l’ecologia e il rischio climatico sono argomenti pesanti e di cui si farebbe volentieri a meno, per tanti di noi sono diventati battaglie personali da affrontare ogni giorno, cercando di apportare piccoli cambiamenti nel proprio stile di vita per ridurre l’impatto sull’ambiente. Tuttavia, come dicevamo, nonostante gli sforzi di individui consapevoli, l’ecologia è diventata un gran tormentone utile sia per riempire palinsesti ormai stanchi, sia una pedina nelle strategie di marketing di molte aziende.

Quest’ultima mossa, divenuta in alcuni casi sistematica, ha un nome e si chiama greenwashing.
Il greenwashing, che possiamo tradurre in italiano con ecologia di facciata o ambientalismo di facciata, è una strategia di comunicazione mirata a costruire una certa immagine di sé attenta all’ambiente e attiva contro lo sfruttamento del pianeta, distogliendo il pubblico dalle reali logiche produttive che invece sono ben distanti da questi temi.
Questo fenomeno vede le aziende utilizzare paraventi ecologici fuorvianti o parole appartenenti all’universo semantico della sostenibilità per attirare i consumatori che hanno a cuore l’ambiente, senza però aver effettuato cambiamenti concreti nelle loro pratiche commerciali.
A macchiarsi di quest’imbarazzante strategia anche marchi importanti nel settore automobilistico come Volkswagen e Chevrolet, con processi aperti e ancora in corso per via di dati falsificati; oppure l’azienda di detergenti Windex con un processo aperto nel 2020 e ancora in corso per la promozione di prodotti definiti non tossici e rispettosi dell’ambiente, rivelatisi poi nocivi per esseri viventi e ambiente.

La deputata Alexandria Ocasio – Cortez ha risposto su Twitter, ora X, a un sondaggio lanciato dalla Shell su Twitter per avviare un dibattito sulla transizione energetica. Nel suo tweet fa notare sarcasticamente come la Shell fosse a conoscenza dei pericoli delle emissioni di combustibili fossili sin dall’inizio degli anni ’90. Scrive: “Sono disposta (riprendendo l’incipit del sondaggio di Shell cosa sei disposto a fare n.d.r.) a ritenervi responsabili per star mentendo da trent’anni sul cambiamento climatico, quando da tutto questo tempo sapevate che le emissioni fossili avrebbero distrutto il nostro pianeta 😇”.

Non viene risparmiato nemmeno il salotto buono della moda, con il colosso svedese H&M che ha lanciato la sua linea conscious choice, fatta di cotone organico e riciclato. Nonostante l’impegno verso materiali sostenibili, è davvero il caso di saltare sul carro dell’ecologia se il proprio modello di business si basa sulla fast fashion* e quindi sulla produzione massiccia e veloce di abbigliamento che poi inevitabilmente finisce al macero?
Sempre a proposito di moda, Kim Kardashian, socialité americana dalle mille linee imprenditoriali, sceglie di usare uno delle conseguenze della devastazione ambientale – il surriscaldamento del pianeta – come gancio di promozione per il suo nuovo prodotto di intimo.
L’imprenditrice lancia il nipple bra, un nuovo reggiseno dalla sua linea di intimo Skims che, come suggerisce il nome, crea l’illusione di indossare una maglia senza reggiseno.
*Fast fashion: indica dei capi di abbigliamento che passano dalle passerelle alla produzione in modo rapido ed economico. È facile associare la FF al concetto di ‘usa e getta’: un utilizzo longevo degli indumenti non è lo scopo finale, il vero fine è indossare l’indumento per una stagione per poi cambiarlo alla successiva.

Ma qual è il nesso fra un reggiseno e il surriscaldamento globale?
La risposta è presto detta: per la promozione sono stati utilizzati claim come “No matter how hot it is, you’ll always look cold”, quindi: “non importa quanto caldo ci sarà, sembrerà sempre che tu abbia freddo”e “Unlike the icebergs, these aren’t going anywhere”, ovvero: “a differenza degli icebergs questi (i capezzoli n.d.r.) non andranno da nessuna parte”.
È chiaro che si sta cercando di combinare moda e coscienza ambientale in modo apparentemente sarcastico. Genialità o ennesimo caso di velato greenwashing?
Come si può notare la linea di confine è poco marcata.
Sappiamo bene che l’ecologia, come tutti i movimenti che prevedono un cambiamento virtuoso, non può diventare una caccia alle streghe. Non esisterà mai il “perfetto ecologista”, perché in un mondo veloce come il nostro è inevitabile essere parte del problema. Sappiamo però, che chi vuole compiere scelte etiche dev’essere messo nella condizione di poterlo fare, senza ulteriori inganni o comportamenti fuorvianti.
Il marketing non può diventare un alleato per prendere in giro il consumatore!
Insomma, dopo questo viaggio fra calotte polari in discioglimento ed etichette finto riciclate, abbiamo capito che il tema dell’ecologia è diventato un terreno fertile per le strategie di comunicazione; ciò che non dobbiamo tralasciare è che, a prescindere la tono scelto, è fondamentale sviluppare un allenamento alla consapevolezza di queste diverse tattiche e di chi le utilizza. Solo così saremo in grado di scegliere con libertà chi supportare, preferendo marchi che dimostrano sincerità verso il consumatore.