Re-brand ADIDAS e PAY PAL (e più in generale le aziende che si rifanno il look e quelle che, invece, non lo fanno)

Torniamo a parlare di rebranding e, da noti marchi di moda, ci spostiamo su altri due esempi e due storie che ci piacciono: Adidas e PayPal, brand che hanno deciso recentemente di rifarsi il look.

 

Ormai lo sappiamo: il rebranding emerge come una mossa strategica che è capace di riscrivere la storia di un marchio. Alcune volte generando vere rivoluzioni nell’immaginario aziendale, altre volte con tiepide risposte. In alcuni casi sfortunati con pochissimi consensi del pubblico.
Un gesto potenzialmente tanto potente quanto rischioso. Per questo alcuni brand preferiscono adottare solo minimi aggiustamenti dei propri loghi e restare legati alle origini.

Ma cosa è giusto: rivoluzionarsi o rimanere fedeli al passato?

Rimodernare il proprio logo, in realtà, non rappresenta sempre un allontanamento da queste. Ce lo dimostra proprio il caso di Adidas.

Il rebranding in casa Adidas che molti hanno definito “il grande ritorno” vede infatti nuova enfasi sul logo del 1972.

Era il primo anno in cui Adidas si cimentava nell’abbigliamento e, il trifoglio,

divenuto poi emblema del brand, era stato creato da un piccolo team di designer di

un’agenzia creativa tedesca.

 

È dal 2000 che il simbolo viene utilizzato per marchiare la linea Originals: prodotti

per la vita quotidiana che possono essere usati anche per fare sport, pensata per un pubblico vasto.

 

Abbiamo visto come sia una scelta moderna e incisiva quella di puntare alla pulizia e

all’intuitività di un logo. Molti grandi marchi hanno semplificato il loro naming e

valutato design più semplici.

In questo caso abbiamo invece un ritorno del più significativo e più grafico della

storia del brand, che si contrappone ai loghi più minimal di Adidas. Tornare al trefoil significa ricalcare i valori che il marchio ha sempre conservato:

l’autenticità e la creatività.

 

Logo Adidas del 1972, utilizzato dal 2000 per la linea Originals.

Rilanciare il trifoglio con strategia

Se creatività e autenticità sono parole d’ordine all’interno di questo rebranding non potevano appunto mancare mosse strategiche con figure popolari. Tra questi Pharrell Williams, Bad Bunny, Dua Lipa.

È impossibile poi non nominare l’accoppiata con il brand Gucci per la creazione di

una capsule collection dalle note estrose tutta focalizzata sul trifoglio.

 

 C’è da dire che il trifoglio non è mai veramente scomparso ma l’enfasi con cui è stato riproposto lancia un forte messaggio come d’altronde lo fa ogni scelta di branding.

E se un brand come Adidas sceglie di guardare alle sue origini, c’è chi invece sceglie un’altra via e opta per la rivoluzione!

Logo Adidas dal 1924 al 2024

Come Paypal che in occasione del suo venticinquesimo si presenta con un’identità nuova, orchestrata dalla filiale newyorkese del noto studio di design Pentagram.
Via le linee morbide, via le sfumature: ci avviciniamo alla solidità di realtà finanziarie (come Mastercard) ma con un taglio moderno e un’efficacia propria dell’attitudine di PayPal, un’azienda che anticipa e che vive nel digitale.

Il carattere è creato appositamente per loro e viene proposto con grandi dimensioni e senza più la bicromia che separava le parti Pay e Pal. La palette resta sui toni del blu e dell’azzurro ma si arricchisce di due accenti: nero e bianco.

Logo PayPal dal 1999 al 2024

Opzioni troppo semplici? In realtà scelte molto nette che conferiscono autorità ed estrema pulizia.re il trifoglio con strategia

Pentagram ha anche incorporato nella nuova immagine del brand, animazioni ispirate alle interazioni digitali dell’utente, come il tap e lo swipe, per un’esperienza PayPal più coinvolgente e riconoscibile.

Questa evoluzione nel design alla fine ci racconta quella del marchio, che è cresciuto in sintonia con (e forse prevedendo) le esigenze del consumatore moderno e sempre più “connesso”.

Le due storie ce lo confermano: il rebranding non è solo una scelta estetica presentata al consumatore. Ciò che il rebranding fa davvero è aggiornare la comunicazione su se stesso, visivamente e con altri mezzi, influenzando la percezione che il pubblico ha del marchio.

Ovviamente l’intento è quello di ricalibrare al meglio il legame con questi, sapendo che tentativi maldestri potrebbero portare ad un indesiderato e pericoloso allontanamento. È forse questo che spaventa alcuni brand dal tentare mosse rivoluzionarie? D’altronde cambiare laddove tutto funziona potrebbe rappresentare un rischio inutile.

 

Il rebranding è un’arte intricata, che richiede un delicato equilibrio tra il mantenimento dell’essenza originale di un brand e l’adattamento alla nuova direzione intrapresa. Deve tenere conto delle aspettative e della realtà attuale del mercato e trovare una via totalmente personalizzata.

Non tutte le aziende optano quindi per un rinnovamento, oppure scelgono di rimanere fedeli al proprio logo per molto più tempo rispetto ad altri.
Vediamo che anche loghi che ci sembrano immutabili come quello della Coca Cola o della Ford nel tempo hanno subito aggiustamenti e ritocchi che li hanno resi più moderni. Si tratta però sempre di mosse calibrate e loghi sempre inconfondibili per tutti.

La continuità qui non è solo questione di rimanere riconoscibili, ma anche di una scelta comunicativa improntata alla stabilità.

I brand oggi infatti devono mantenere una coerenza visiva e narrativa attraverso una miriade di piattaforme e punti di contatto. Questo significa più sfide per i rebranding che devono essere pensati in termini di flessibilità e adattabilità. Loghi e identità visive infatti devono essere ottimizzati sia per i mezzi tradizionali che per gli schermi e le piattaforme online. Questo impone delle esigenze a livello stilistico che un grande marchio e i suoi designer non possono ignorare.

Ma quindi: chi ha ragione?

Non c’è una regola, scelte audaci possono riuscire o fallire, come la staticità nel tempo può essere un successo riconfermato o meno. Una cosa è certa: nessun buon cambiamento nel marketing avviene d’impulso.

Un rebranding che funziona sarà sempre supportato dai dati, dalla consapevolezza delle proprie intenzioni e dalla comprensione del legame con i consumatori. Una strategia alle spalle è ciò che potrà guidare queste mosse e risolvere ogni dubbio.

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